venerdì 12 aprile 2013

Venere: il Vino!


La parola vino è antichissima e gli etimologi discutono se farla derivare da una radice del sanscrito “venas” (piacevole) da cui Venus (Venere), oppure dall’antico ebraico “iin” che attraverso il greco “oinos”, sarebbe arrivata ai latini. Altri invece sostengono che da una radice sanscrita “vi” (attorcigliarsi) verrebbe fuori la parola vino, cioè il frutto della pianta che si attorciglia.
Già seimila anni fa, i Sumeri simboleggiavano con una foglia di vite l’esistenza umana e, sui bassorilievi assiri con scene di banchetto, sono rappresentati schiavi che attingono il vino da grandi crateri e lo servono ai commensali in coppe ricolme.
Anche gli Ebrei dell’Antico Testamento, che attribuivano a Noè la piantagione della prima vigna, consideravano la vite “ uno dei beni più preziosi dell’uomo” (I Re) ed esaltavano il vino che “rallegra il cuore del mortale” (Salmi).
La pratica della viticoltura vanta origini antichissime, come è testimoniato da non pochi documenti figurati; fra i tanti è degna di nota la pittura di una tomba tebana della XVII dinastia (15552-1306 a.C.), dove sono rappresentati due contadini che colgono grappoli d’uva da una pergola, circostanza interessante da cui si deduce che in Egitto, gia nel II millennio a.C. era diffuso il sistema di coltivazione ‘a pergola’. Altri quattro lavoranti procedono alla pigiatura delle uve in un grande tino ed un loro compagno, chino sotto le cannelle, raccoglie nei recipienti il mosto appena spremuto. In alto si nota una ordinata fila di anfore nelle quali, una volta completata la fermentazione, veniva risposto il vino. Chi faceva vino apponeva anche un sigillo con l'anno della vendemmia; prima prova di una rudimentale pratica di invecchiamento.
Con l'emergere di altre civiltà, la viticoltura e la vinificazione si affermarono più a nord, lungo le coste del Mediterraneo. Creta e Micene dominarono il mondo culturale ed entrambe erano civiltà commercianti che riconobbero il grande valore del vino.
L’esistenza di Ciro, il grande condottiero persiano, venne segnata dal vino, che identificò uno dei tesori per i quali i suoi uomini si convinsero ad invadere la Media ricca di campi e vigneti.
Attraverso i Greci e i Fenici il vino entrò nella civiltà occidentale. Nel mondo greco il vino era ritenuto un dono degli dei e tutti i miti sono concordi nell’attribuire a Dionisio, dio del vino, il più giovane figlio immortale di Zeus, l’introduzione della coltura della vite tra gli uomini.
I temi connessi al vino sono i protagonisti assoluti della pittura vascolare greca, ed in particolare ebbero grande diffusione le raffigurazioni di Dioniso seguito di satiri e menadi mentre vendemmiano, riempiendo i canestri di grappoli d’uva, o nelle altre fasi del trattamento dell’uva.
Anche i poemi omerici sono ricchi di citazioni a prova della grande importanza che il vino rivestiva nella cultura ellenica:
«a Polifemo viene fatto bere puro un vino che usualmente era diluito con 16 parti d’acqua.»
A Itaca, Ulisse, nella sala del tesoro conservava non solo oro, bronzi, tessuti, olio, ma anche «vasi di vino vecchio, dolce da bere».
Moltissimi erano i vini prodotti nel bacino del Mediterraneo. La qualità dipendeva dall’esposizione del vigneto, dalle caratteristiche delle piante e dai metodi di coltivazione: sappiamo ad esempio che le vigne basse davano vini mediocri e che, invece, i grandi vini italici erano generalmente ricavati da viti in arbusto. Era inoltre radicato anche l’allevamento della vite con ceppo basso, senza sostegno o con sostegno a paletto; così era la vigna raffigurata sullo scudo di Achille:
“…una vigna stracarica di grappoli, bella, d’oro: era impalata da cima a fondo di pali d’argento… un solo sentiero vi conduceva per cui passavano i coglitori a vendemmiare la vigna;…in canestri intrecciati portavano il dolce frutto” (Hom. Il.XVIII, 561-569).
Per quanto riguarda la vinificazione è testimoniato l’uso di una tecnica molto simile a quella utilizzata fino quasi ai nostri giorni: essa prevedeva la raccolta e la pigiatura dei grappoli in larghi bacini, la torchiatura dei raspi e la fermentazione del mosto in recipienti lasciati aperti fino al completo esaurimento del processo. A differenza degli lavori agricoli, la vendemmia era un’attività festosa, che non apparteneva propriamente alla sfera del lavoro quotidiano, ma trasformava la condizione umana e la poneva in contatto con il divino.

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