lunedì 8 aprile 2013

Cinema e Cibo: in Africa alla scoperta di tradizioni e gusti diversi.

                
Martedi 23 aprile ci sarà il secondo appuntamento di Diritti e Culture, percorso creato in collaborazione con la L.I.D.U Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo, che vedrà la proiezione del film Mooladé, accompagnata dalla degustazione di cibi tipici di diversi paesi africani.
Mooladé è un film africano che combatte la pratica dell’escissione: essa, praticata in Senegal e in altri stati dell’Africa nera, non è da confondere con la più diffusa pratica dell’infibulazione: il termine "infibulazione" deriva dal latino "fibula" che significa spilla. Definisce una procedura mutilativa nella quale la vagina è parzialmente chiusa approssimativamente all'altezza della metà delle grandi labbra attraverso una sutura che lascia solo un piccolo passaggio per l'urina e il sangue mestruale. La rimozione totale del clitoride, alla base dell’escissione, nell’infibulazione è facoltativa. Secondo l'Organizzazione mondiale della salute (Oms), le mutilazioni dei genitali colpirebbero all'incirca 130 milioni di donne e di bambine in 28 paesi dell'Africa e del Medioriente. Lungi dal diminuire, questo numero aumenterebbe di circa due milioni all'anno. Mooladè è una co-produzione di Francia, Marocco, Burkina-Faso, Tunisia e Senegal. Recitato da attori provenienti da Senegal, Mali e Costa d’Avorio, è il pilastro centrale della trilogia “eroismo al quotidiano”, cominciata con Faat Kiné1 e ancora da terminare con La confraternita dei topi (titolo provvisorio), film sulla corruzione, ambientato questa volta in un contesto cittadino. Girato in pellicola 35mm nel 2003 a Djerisso, un piccolo villaggio di campagna del Burkina Faso (“Oggi le grandi città africane non sono che dei prolungamenti dell’Europa. Ecco perché ho girato in un villaggio”- dice l’autore2), dura 117 minuti. Nove mesi sono occorsi per il montaggio. “Sono nato in campagna, a Ziguinchor - racconta Sembène -, nella mia infanzia l’escissione era considerata normale. L’origine di questa pratica si perde nella notte dei tempi. Erodoto ne parla. Allo stesso modo Abramo, nostro antenato comune. I conservatori pensano che ciò renda la donna più fedele. I musulmani trovano la giustificazione del rito in un editto del Profeta riportato cento anni dopo la sua morte. Ma se noi facciamo uno studio sull’escissione delle donne, dobbiamo constatare che non esiste in nessun posto al di fuori del continente africano. La religione musulmana si è espansa, senza per altro conservare questa pratica. D’altra parte, questo rituale non è scritto nei Cinque Pilastri del Corano”. Non è facile affrontare certi argomenti tabù all’interno di paesi musulmani. In passato solo Cheick Oumar Sissoko, con Finzan (Rivolta, 1989), aveva trattato il tema, attraverso la storia delle due protagoniste: Nya, una giovane vedova che viene obbligata a sposare il cognato, e una studentessa che, tornata al paese natale, viene evirata con la forza. “I riti di mutilazione genitale femminile sono ancora praticati in 38 dei 54 stati membri dell’Unione Africana. E’un attentato alla dignità e all’integrità delle donne. Bisogna abolire questa eredità di un’epoca che non c’è più”. Pare che sul set Sembène abbia avuto alcuni problemi con gli attori, dal momento che alcuni non erano d’accordo con il messaggio del film. Tra di loro proprio Fatoumata Coulibaly, attrice maliana che interpreta Collé Ardo. Sembène si difende dicendo che “in Mali, non c’è una legge contro l’escissione, contrariamente al Senegal e al Burkina Faso. Lei (l’attrice n.d.r.) dice che in Mali la questione non viene trattata dai media. Per questo ci andrò a presentare il film”.

In Francia ha avuto una buona distribuzione e ha riscosso un significativo successo al botteghino, conseguenza dello storico rapporto di collaborazione tra il mondo transalpino e quello africano. Ogni scena è sottomessa a una doppia tensione: tra le esigenze della Legge, che assegna una funzione per ogni membro dello scacchiere della comunità (la Donna, la Sposa), e le intenzioni particolari dei singoli individui. Sembène conferma questa tesi: “Non ho voluto mettere la pratica della mutilazione al centro della storia, bensì mi sono concentrato sulle risposte che gli uomini e le donne del villaggio danno a questa pratica. Ho voluto mettere in luce le contraddizioni che emergono da due valori: il moolaadé, che è il diritto di asilo e di protezione, e la richiesta della società che le donne siano sottoposte all’escissione”8. Un conflitto dunque all’interno della tradizione, con due leggi inviolabili ma allo stesso tempo inconciliabili tra loro. I personaggi principali sono descritti con una profondità fuori dal comune. Collé si ribella contro la regola collettiva. E’una lotta solitaria, ostinata, completamente priva di retorica drammatica. Sembène sa che il cinema militante oggi deve essere meno enfatico per convincere. “Gli uomini non parlano dell’escissione. Gli africani sono molto pudici – anche quando sono nudi – nel modo di guardare. L’impudenza sta in ciò che l’orecchio intende. Quando Collé Ardo si rivolge agli uomini, fa loro comprendere che “è ora o non sarà mai più”. Subisce, fino al momento in cui decide che la situazione deve cambiare”9. Collé non agisce mai; reagisce agli eventi. Ma ogni volta che reagisce, fa avanzare altri personaggi. Sul piano individuale, è la sola donna a venir fustigata in un punto del film. Anche in quel caso gli altri personaggi reagiscono con lei. Collé è una Faat Kiné di campagna: “Ho deliberatamente preso la decisione di dare a Collé e Faat Kiné la stessa età. Solo che la prima agisce in un’ambientazione rurale, tradizionale, mentre la seconda in un contesto urbano”10. I due film sono simili anche per il fatto che Moolaadè, nonostante il tema grave e a tratti tragico, prende a tratti toni da commedia sociale, alternanza grottesca che ritroviamo spesso, sin dai tempi di Le Mandat, nella carriera dell’autore. Le eviratrici sono una “truppa di solenni arpie, guardiane della tradizione, che minacciano della loro vendetta coloro che osano romperla”11, applicatrici ferree delle direttive del consiglio dei notabili. Uno dei personaggi più interessanti, per la sua complessità, è Mercenaire.
Sembène ne fa un ritratto ricco di sfumature e non privo di ambiguità. All’inizio del film sembra il tipico commerciante venuto dalla capitale per approfittare dell’ignoranza della popolazione rurale. Ad esempio vende pane duro vecchio di alcuni giorni, comprato per pochi spiccioli in città a un prezzo quasi eguale al pane fresco di Dakar. Smascherato dal promesso sposo di Amsatou, unico personaggio che ha vissuto fuori dal villaggio (a Parigi), si difende dicendo che il pane duro costa meno del riso ed è più nutriente. Durante la discussione, prima racconta l’origine del suo nome: casco blu dell’Onu per molti anni, scopre e denuncia un caso di corruzione di alcuni ufficiali. Per questo motivo viene radiato dall’organizzazione e false testimonianze gli attribuiscono l’appellativo di “mercenario”. Continuando il dialogo con il promesso sposo lo accusa di essere un pedofilo (“Bisogna dire agli africani che dei matrimoni con delle ragazze così giovani sono nell’ordine della pedofilia!”12) per il fatto che il padre, rifiutando Amsatou perchè bilakorò (non mutilata), lo vuole sposare con una bambina di 11 anni. Dunque Mercenaire è un personaggio onesto, che però per guadagnare da vivere gonfia i prezzi dei suoi prodotti. Questa complessità oscillante tra bene e male finisce nella scena epica della violenza su Collé da parte del marito nella piazza pubblica. Qui il commerciante mostra il suo spirito rivoluzionario interrompendo con la forza le violente frustate del marito. L’imam non gli perdonerà l’intromissione e sentenzierà la sua condanna a morte, eseguita in piena notte da un gruppo di fedeli che inseguono con fiaccole infuocate il traballante carretto del povero Mercenaire in fuga. Il villaggio stesso è un elemento simbolico, “un set chiuso ad ogni presenza esterna (il non riambientamento sentimentale del ragazzo giunto da Parigi) e ad ogni forma di progresso (le radio che vengono ammassate e poi bruciate), luogo palcoscenico dove tra entrate e uscite di campo i personaggi diventano attori, vestono i costumi di scena ed entrano/escono dal loro ruolo”. La vittoria finale delle donne, cioè la fine dell’escissione, è rappresentata dalla caduta del coltello delle exciseuses per mano di Collé Ardo. Ci sono poi molti richiami all’ignoranza della popolazione di villaggio, dovuta all’isolamento ma anche ai rappresentanti del potere religioso conservatore. Ad esempio è emblematica l’inquadratura di Collé che passa la lingua dentro una pila per vedere se è carica. In Mooladé infatti svariati elementi mostrano il rapporto tra la comunità di villaggio e la modernità: le radio, attraverso le quali il radiogiornale lancia un messaggio contro l’eccisione, vengono bandite dal villaggio. L’autorità musulmana si accanisce contro ogni strumento della tecnologia, per paura che un utilizzo cosciente da parte delle donne rappresenti un ostacolo al potere tradizionale. L’ultima immagine del film è un’antenna, metafora di un mondo globale portatore di progresso. E’interessante notare che Sembène, al contrario dei cineasti engagés europei o americani, pone in chiave positiva i media, in particolare la radio, smarcandosi completamente dalla tradizionale antipatia del cinema militante nei confronti del potere omologante del sistema fondato sul controllo mediatico. Ancora una volta Sembène Ousmane si smarca dai clichés per regalarci, nell’era della fine delle ideologie, un moderno cinema politico che, non senza compiacimento, possiamo definire rivoluzionario.

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