sabato 10 novembre 2012

I “moti del cuore” si registrano forse più spesso in ristoranti di pregio che in algide gallerie d’arte.

Nel progressivo intersecarsi delle arti e delle discipline dell’intelletto libero, recente acquisizione è stata l’assimilazione delle “arti della cucina” alle arti tout court.
È un argomento complesso, controverso e presenta aspetti di non semplice analisi, se è vero – com’è vero – intanto che la cucina è luogo di passioni, che s’incontrano ma che si scontrano anche.
Non ci spingeremo a descrivere una “sindrome di Stendhal” provata di fronte ad una ricetta sublime, ma i “moti del cuore” si registrano forse più spesso in ristoranti di pregio che in algide gallerie d’arte.
Ora, pur parlando di quadri e obiettivi diversi, e non essendo l’emozione l’unica misura per ragionare di impegno creativo, mi sembra comunque stimolante parlare di “ambienti” pluridisciplinari e vederne gli eventuali collegamenti interni.
Qui si narra di ingegneria e di progetto, di riproducibilità e di “unicum”, di accesso e di esclusione, e di arte.
In particolare su quest’ultima, con l’ampliarsi dei media a disposizione degli artisti, le tavolozze della loro espressività hanno sempre più spesso incluso il cibo come elemento primario (ricordiamo in particolare il lavoro di Rirkrit Tiravanija, Daniel Spoerri, … ma anche la cucina futurista).
Ed allora: cultura alta e bassa (penso solo mera geografia), cuore, cervello e pancia (anatomia), bisogni primari e secondari (matematica), progetto ed impulso creativo (ingegneria vs. follia ?!), tradizione e innovazione, artigianato ed arte (filosofia forse), … tutto si tiene in questo contesto.
Cosa cerchiamo nel cibo? Conforto e consolazione, stimoli e confronti, sorpresa e gioco, storia ed immaginazione: non cerchiamo tutto questo anche nell’arte?
I compositori delle ricette più intriganti, sorprendenti, gli esecutori più sopraffini giocano con le nostre sensazioni, come si permettono di fare i più grandi artisti.

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