martedì 15 novembre 2011

L'Unità d'Italia attraverso Vini e Sapori 11 novembre-13 novmbre 2011


Tre giorni attraverso 150 anni. Piemonte, Toscana, Francia.
Un percorso di vini e di sapori accompagnati da un fil rouge culturale che scorre nei secoli.
“L’Unità d’Italia attraverso Vini e Sapori”, evento organizzato da La Limonaia Food as Culture di Torino, si è svolta l’undici, il dodici e il tredici di novembre con la partecipazione
dell’ Accademia Geografica Mondiale e de La Confrerie des Gastronomes de la Mer, per scoprire o riscoprire alcuni lati della storia.
Venerdì sera la cena di benvenuto: i primi due presidenti del Consiglio Camillo Benso Conte di Cavour e il Barone Bettino Ricasoli, le loro vite, le loro terre. Due figure assolutamente legate all’agricoltura anche nell’immaginario della gente. Bettino Ricasoli appartiene alla storia toscana fino all’unità d’Italia. Primo Presidente del Consiglio dopo Cavour. Nasce dal Barone Luigi Ricasoli e da Elisabetta Peruzzi. Studia alla Scuola del Canonico Silvestri, dal Cicognini di Prato e presso i Padri Camaldolesi. Influenzato dal pensiero svizzero-francese-inglese è animato da sentimenti religiosi che fanno comprendere l’impegno all’educazione civile e morale dei suoi contadini e cittadini. Riformatore religioso, riformatore agricolo. In campagna amministra le sue terre con un profondo rinnovamento nella gestione. La guerra di Crimea, attraverso la quale Cavour  pone la questione italiana al centro dell’attenzione delle grandi potenze e soprattutto della Francia di Napoleone III, convince Ricasoli che il Piemonte era l’unico stato in grado di “sprovincializzare” l’Italia e di guidare la rivoluzione nazionale. Entrato nel parlamento subalpino il 6 giugno 1861 succede a Cavour, deceduto precocemente,  alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel 1866, i francesi lasciano Roma e Ricasoli tenta la riconciliazione con lo Stato Pontificio.
La Camera dei Deputati rifiuta l’accordo. Ricasoli si dimette, anche se ancora considerato membro influente nella destra storica che gli avversari chiamavano “consorteria”.
Torna a casa, Sindaco di Gaiole – Enologo. Realizza il vino “sublime” venduto e bevuto in tutto il mondo. Instancabile ricercatore, perfezionista. In Francia impara a vinificare e coltivare la vite e a fermentare.
Per verificare la tenuta dei propri vini nella distanza e nel trasporto fa prove di “navigazione” imbarcando per anni le botti su mercantili diretti in tutte le parti del mondo, in Sud America e a Bombay.
Il regolamento di produzione del vino Chianti è trasformato in disciplinare di produzione.
E’ l’altro Risorgimento, parallelo a quello della riscossa nazionale, che porta la viticoltura e l’enologia italiana ai vertici mondiali. Con il neonato Stato Italiano nasce uno degli attuali
“Made in Italy” più apprezzati in tutto il mondo: il Barolo e il Chianti Classico.
Camillo Benso e Bettino Ricasoli: uomini intimamente uniti nei propositi e nei progetti politici,
imprenditori agricoli, convinti della loro portata storica  superano la figura del “rentier”.
Uomini persuasi che i tempi fossero maturi per l’abbandono di un’agricoltura improvvisata, da sostituire con l’introduzione dei principi scientifici che avevano contribuito allo sviluppo dell’agricoltura inglese. Uomini uniti dal vino: l’uno “inventore” del Barolo, l’altro della formula del Chianti “sublime”, una formula che, seppur modificata negli anni, non ne ha mai tradito il principio : dare una spinta al modo di fare e di intendere il vino, valorizzando un territorio unico, attraverso un prodotto che avrebbe conquistato il mondo perché capace di raccontare il suo terroir.
Ricasoli e Cavour erano pronti a scommettere che l’Italia Unita sarebbe ritornata ai fasti dell’antica Enotria, producendo vini in grado di affrontare la concorrenza con quelli francesi.
(L’esportazione di vino italiano era di 350.000 ettolitri di vino da taglio, sei milioni di ettolitri di vino di qualità esportato dai francesi, secondo la prima statistica dell’Italia Unita).
Bettino Ricasoli crede che un Paese moderno trovi nell’agricoltura un elemento fondamentale
della propria economia e, nel vino, quel “biglietto da visita” negli scambi internazionali.
Vino come prodotto simbolo per l’export,  che rappresenta la storia e la cultura di tutto un popolo.
Il sogno di vedere il vino come colonna portante del made in Italy nel mondo, trova conferma
nella celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, data simbolica che segna la conclusione di un processo, intuito per la prima volta nel Castello di Brolio, che ha condotto il vino italiano a raggiungere la “grandeur” dei vini d’oltralpe.
Nel 1861 si attua dunque una congiuntura storica irripetibile e straordinaria.
Il vino protagonista: il Barolo piemontese, il Marsala siciliano, il Chianti toscano.
Così si chiude la serata di venerdì 11 per incominciare quella di sabato: Officine Grandi Riparazioni al mattino, Guido Castagna Maitre Chocolatier al pomeriggio, inaugurazione dell’Ambasciata Italiana de La Confrerie Les Gastronomes de la Mer et Compagnons du Vin la sera in presenza del Console Generale di Francia Veronique Vouland-Anein.
Edificate tra il 1885 e il 1895, le Officine Grandi Riparazioni rappresentano una testimonianza particolarmente significativa dei primordi dello sviluppo industriale di Torino, cominciato a pochi anni dall’unificazione nazionale. Si tratta di un passaggio cruciale della storia cittadina. Con la perdita del titolo di Capitale d’Italia, ricoperto tra il 1861 e il 1865, e con il tramonto del suo ruolo di centro politico e amministrativo, retto per secoli in qualità di capitale dello Stato sabaudo, Torino deve infatti fare i conti con il proprio futuro, reinventarsi, cercare una nuova vocazione. Ed è già da qualche anno che le autorità cittadine fanno appello alle ricche famiglie aristocratiche e borghesi affinché abbandonino le tradizionali forme di rendita, legate agli investimenti immobiliari e all’acquisto di titoli di stato, e decidano di investire il loro denaro nello sviluppo industriale. La nascita delle Officine si inserisce proprio in questo contesto. Costruite in un momento di forte sviluppo delle reti infrastrutturali di un Paese finalmente unito e votato a entrare in concorrenza con le più forti economie europee, le Officine Grandi Riparazioni sono concepite per essere un centro di avanguardia nella revisione e riparazione di locomotive e carrozze ferroviarie. Un elemento funzionale al potenziamento degli scambi di prodotti industriali e di materie prime da e per Torino, una premessa indispensabile alla trasformazione della città in un grande polo industriale. Generazione dopo generazione, le Officine Grandi Riparazioni sono state testimoni del lavoro di migliaia e migliaia operai: una manodopera iper-specializzata e consapevole di appartenere a un’élite di artigiani di primissimo ordine, portatori, come le vecchie corporazioni di arti e mestieri, di conoscenze rare e complesse. Con il posizionamento in quell’area di stabilimenti tanto grandi, si creò l’esigenza di nuove case, situate nelle immediate vicinanze delle Officine. Si ponevano le basi per lo sviluppo del quartiere di Borgo San Paolo, uno dei grandi quartieri operai cittadini: quello che maggiormente, assieme al Lingotto e a Mirafiori, sorti più tardi intorno ai grandi stabilimenti Fiat, saprà segnare la storia del movimento operaio torinese. Gli abitanti del quartiere San Paolo, infatti, saranno tra i protagonisti degli scioperi dell’agosto 1917, durante le ore terribili del primo conflitto mondiale, e poco più tardi, nell’estate 1920, parteciperanno all’occupazione e autogestione delle fabbriche, un vero e proprio esperimento di rivoluzione socialista in Italia. Da Borgo San Paolo, tra l’altro, grazie soprattutto all’influenza politica che il giovane Antonio Gramsci seppe esercitare sugli operai del quartiere, sarebbe venuta una parte significativa delle primissime adesioni al Partito comunista d’Italia, nato a Livorno nel 1921, che vi avrebbe trovato una delle sue roccaforti anche sotto il regime fascista. Gli operai di Borgo San Paolo, inoltre, avrebbero dato un contributo importantissimo nella Resistenza al nazifascismo. Oggi ospitano tre mostre: “Fare gli Italiani.150 anni di storia nazionale”, “Stazione Futuro. Qui si rifà l’Italia”, “Il Futuro nelle mani. Artieri di Domani”.
La mattinata si conclude con un pranzo-degustazione di prodotti tipici del territorio e prosegue sulla statale per Giaveno verso l’Atelier del Cioccolato. Nato nel 2002 in provincia di Torino, prima nei vecchi locali di famiglia, poi, dal 2006, in una nuova sede dove sono affiancati il laboratorio e il punto vendita.
Guido Castagna è un giovane artigiano del cioccolato che manifesta un vero grande talento e riesce a innovare la tradizione con audaci abbinamenti e gusto raffinato.
Facendo tesoro della sua esperienza pluriennale, anche presso altre realtà del settore, ha fondato l’eccellenza qualitativa del suo laboratorio su due solide basi: la Nocciola Piemonte IGP (la “Tonda Gentile”), e la selezione dei migliori “cru” di cacao del mondo.
La tostatura, la raffinazione e il concaggio eseguiti personalmente permettono di ottenere una produzione di altissima qualità e di esaltare le migliori caratteristiche delle materie prime utilizzate.
Tra i prodotti più significativi della sua produzione vi sono i cioccolati fondenti a varie percentuali di cacao, il cioccolato al latte, il cioccolato alla gianduia, il cioccolato fondente con la granella di fava di cacao; molto interessante è la crema gianduia di impareggiabile fattura.
Una citazione particolare va fatta per quattro cioccolati fondenti “cru”, con percentuale di cacao del 76 %, prodotti utilizzando esclusivamente selezioni di cacao provenienti rispettivamente da Ecuador, Venezuela, Madagascar e Ghana.
Significativa della fervida creatività di Guido Castagna è la produzione di pralineria dove troviamo i tartufi alla gianduia, al maraschino, all’amaretto e al croccante, i cremini, i cioccolatini speziati ed infine i dragèe alla Nocciola Piemonte IGP, all’arancio candito, allo zenzero e alla fava di cacao, prodotto quest’ultimo utilizzando il cacao del Presidio Slow Food “Cacao di Barlovento” (Venezuela). Verso le ore 20.00 inizia la degustazione di Muscadet bretone, vino bianco sottile e leggero, che pulisce i palati ancora affezionati al cacao per introdurli ai crostacei: ostriche bretoni n.2, coquilles St. Jaques e branzino in crosta di sal de Guerande. Cornice gastronomica della nuova nominata Ambasciata Italiana de Les Gastronomes de La Mer et Compagnons du Vin, futuro polo di scambio e proposizione dei migliori prodotti oceanici.
Lo spirito è la conoscenza reciproca, alimentata dalla curiosità, non solo per il nuovo, il diverso, il lontano, ma anche per il vicino, il simile e l’inaspettato. Cosi la cultura cresce e si muove attraverso gli occhi dei Viaggiatori.
Domenica mattina è in onore di Barolo. Pare che il primo insediamento sia stato di origine barbarica e che risalga all’alto medioevo. Questa interpretazione è avallata dalla più accreditata spiegazione relativa all’etimologia del nome, originato con buone probabilità dal celtico «bas reul», cioè «luogo basso»: interpretazione sostenuta anche dalla conformazione geografica del territorio, poiché il paese si sviluppa su un altipiano circondato da colline. Al Castello della famiglia Falletti, che ospita il Museo del Vino WiMu, l’AGM e la Confrerie ricevono il benvenuto caloroso del Sindaco Walter Mazzocchi e del Presidente dell’Enoteca Regionale del Barolo Federico Scarzello. La creazione, la nascita, l’evoluzione, l’affermazione, i gossip di uno dei cinque vini più importanti del mondo precedono la degustazione delle “etichette istituzionali”, selezionati dall’ Enoteca con  un’analisi ceca dellle bottiglie di tutti i produttori al fine di rappresentare al meglio il Vino Barolo.
Riprendo dai testi AGM:
“Il nostro ideale è quello di imparare ad apprezzare gli aspetti e le risorse naturali dell'intero pianeta e di venire a contatto con le popolazioni che lo abitano, nel completo rispetto dell'ambiente e delle persone, qualunque sia il loro grado sociale e il loro livello culturale; qualunque sia la loro lingua e la loro religione; qualunque sia il loro sesso e il loro colore della pelle”. Questo l’ideale dei tre giorni passati insieme.

Cesare Grandi

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